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LA REGINA CRISTINA

a cura di Marisa Rotiroti

In un momento di grande crisi dei valori, di disincanto nei confronti della politica affaristica e di un mondo governato esclusivamente dalla finanza ho trovato molto interessante il libro di Annarosa Buttarelli. Un libro di amore per il mondo, nel senso di districare le nostre vite dal potere

Annarosa ci invita a ripensare e rifondare la politica da una prospettiva femminile.

E se c’è questa via diversa deve necessariamente passare attraverso il pensiero dell’autorità femminile e sovvertire il concetto di Sovranità che non coincide col potere, ma è improntata alla relazione, è generatrice di relazione e affonda le radici nella centralità della vita, della vita concreta, della vita quotidiana.

Storicamente l’esperienza femminile è stata sempre relegata al privato, al non politico, al non pubblico; ora il privato, il domestico, l’intimo, diventano la sostanza per ripensare l’autorità capace di governare il mondo senza appropriarsene.

Annarosa ci presenta dei ritratti di donne di cui interpreta pensieri, pratiche e politiche create da donne, che nella storia hanno consolidato la propria autorità basata sul principio ordinatore della relazione umana e regolata dalle leggi della vita.

Fa gli esempi di Cristina di Svezia, Elisabetta I d’Inghilterra, Elisabetta del Palatinato, Ildegarda di Bingen, Anna Maria Ortese, le Preziose

Vedremo stasera il film su Cristina di Svezia del 1933, interpretato da Greta Garbo. Un breve cenno sulla vita di Cristina. (1626 – 1689))

Regina a 6 anni, orfana di Gustavo Adolfo il Grande che, prima di partire per la guerra, le aveva assicurato i diritti di successione al trono nel caso non fosse più tornato, dando disposizione che venisse educata in modo da esserne degna erede.

Cristina stupisce dai primi istanti di vita quando viene presa per maschio perché affetta da ipertrofia clitoridea. “Questa bambina varrà quanto un uomo fu il benevolo commento del padre”

 

Quando a 18 anni nel 1644 assunse il potere, era un prodigio di cultura e di acume politico, ma rinnegava la sua femminilità.

Parlava sette lingue, conversava in latino. Partecipava alle discussioni filosofiche che si tenevano a corte, collezionava manoscritti matematici e scientifici, si interessava anche di alchimia e di esoterismo.

Denominata la “Minerva del Nord”, nell’ottobre 1649 invitò a corte il filosofo Cartesio come insegnante di filosofia e matematica che, obbligato a conferire con lei il mattino alle 5,00, non resse il rigido inverno scandinavo e morì di polmonite.

La sua biblioteca personale   è stata la più grande d’ Europa

Per 10 anni la regina Cristina seppe affrontare gli affari di Stato con rara competenza, rafforzandola potenza svedese. Condusse alla pace territori e popoli in guerra, come i suoi e quelli della Danimarca, che governò facendoli prosperare. Era molto amata non solo dal popolo, ma anche da tutti gli uomini e le donne di cultura di cui si circondava. Deludeva però tutti quelli che premevano che si sposasse per necessità dinastiche.

E allora perché mai, ci si chiede, dopo aver concluso la pace di Westfalia (mise fine alla guerra dei 30 anni (1618 – 1648) e alla guerra degli 80 anni tra Spagna e le Provincie Unite) è scesa dal trono ?

Da fonti accreditate apprendiamo che lasciò il trono al cugino Carlo Gustavo per amore della libertà e per seguire i suoi interessi culturali e religiosi. 

Secondo Annarosa Buttarelli ha voluto indicare una regalità differente da quella data dalla corona, perché prima di abdicare fece coniare una moneta con questa incisione: “SEDES HAEC SOLIO POTIOR”  (questa dimora è più degna di un trono)

La regalità è un potere che non ha conti da rendere e questo lo può solamente il saggio(dai Quaderni di Simone Weil vol III pag 31)

I saggi  - dice ancora il mistico Giovanni della Croce – non hanno conti da rendere perché non hanno stipulato contratti che creano utili a qualcuno al quale bisogna sottomettersi”

La mossa simbolica di Cristina, dice la Buttarelli, è lasciare il trono vuoto che è di Dio e, pro tempore, è dato perché si agisca con onore. La vera regalità è perciò in stretta relazione con la “Sapienza”, che non è solo conoscenza concettuale, ma è conoscenza pratica, viene dall’esperienza, non è individuale, ma relazionale.

Non è, però, concepibile per la tradizione maschile, che la vera “cognizione delle cose” si acquisisca nell’esperienza quotidiana.

Cristina, ancora, sovverte il concetto di sovranità del “Lievitano” di Hobbes (1651) la Bibbia della sovranità moderna, che Cristina certamente conosceva perché antecedente alla sua abdicazione (1654)

Nella tradizione politica l’individuo - re (nel nostro caso) è il detentore dei diritti che ha l’incarico di incarnare lo Stato (corpo artificiale non umano) e lo fa attraverso la rappresentanza, diventando rappresentante delle parole e delle azioni altrui.

Cristina intende riscrivere la “Sovranità” (stare sopra e non contro)

Nel suo governo mette al centro i bisogni del popolo.

Rifiuta di sedere al posto di Dio, ma anche di prestare il proprio corpo a uno Stato; rifiuta tutta la montagna di menzogne, di falsificazioni, di macchinazioni che aveva incontrato regnando.

Insofferente all’integralismo della religione luterana abbracciò la religione cattolica e, come celebre convertita, si conquistò un posto di primo piano nella Roma barocca, dove si stabilì molto ben accolta da Papa Alessandro VII nel dicembre del 1655.

Fondò a Palazzo Farnese l’Accademia Reale per promuovere lo studio della letteratura e della filosofia di cui era appassionata. Fondò anche il cenacolo alchemico (Anna Maria Partini “Cristina di Svezia e il suo cenacolo alchemico” pag 19 – 83 ed. Mediterranee Roma 2010).

Fu protettrice di artisti e scienziati. La sua dimora, fissata a palazzo Riario diventò un raffinato cenacolo dove Pietro Bollori curò una pinacoteca che accoglie anche opere di Raffaello, Tiziano e Rubens. Fu chiamata la regina di Roma

Cristina morì nel 1689 ed è sepolta in San Pietro.

 

A me è interessato presentare la figura di Cristina come una sovrana che crea tradizione di buon governo delle donne, ma Cristina è stata anche altro.

Daniela Pizzagalli, autrice del libro “La regina di Roma: vita e misteri di Cristina di Svezia nell’Italia barocca” (Rizzoli 2002) documenta con rigore, ma senza pedanteria la sua vita eccezionale e piena di contraddizioni.

Regina senza Stato (caso unico nella storia) viaggiò molto in Europa con la sua corte eterogenea in cerca di solidità economica, sempre pronta ad abbracciare le grandi cause del suo secolo, dalla tolleranza religiosa alla resistenza contro l’avanzata islamica, osò contrapporsi al più assoluto dei sovrani Luigi XIV re di Francia

 Ce la descrive religiosa e libertina: attratta eroticamente da gentildonne e avventurieri, generosa e dissipatrice. Visse piena di debiti, ma lasciò in eredità inestimabili collezioni d’arte.

I due grandi amori della sua vita furono la contessa Ebba Sparre in Svezia e il Cardinale Azzolino a Roma.

Trama

La regina Cristina di Svezia, succeduta a suo padre Gustavo Adolfo sul trono di Svezia, governa con sapienza e determinazione. Il tesoriere di corte Lord Magnus vorrebbe sposarla, ma lei lo tiene a bada e rifiuta anche il cugino Principe Carlo Gustavo, che i sudditi vorrebbero al suo fianco perché è l’eroe nazionale.

Un giorno in una delle sue uscite, vestita da paggio aiuta un cocchier a liberare la carrozza di Don Antonio, ambasciatore di Spagna. Quella sera stessa, per mancanza di spazio nella locanda dove sostano, i due devono dividere la stessa stanza.

Don Antonio scopre l’identità del suo compagno e se ne innamora, senza sapere che è la regina di Svezia. Lo appurerà quando si recherà a corte per chiedere la mano della regina Cristina per il suo re  che la vorrebbe in sposa.

Nonostante le difficoltà Antonio e Cristina continuano la loro relazione, ma Lord Magnus, roso dalla gelosia e dall’invidia la osteggia, semina zizzania e ne fa una questione politica. Cristina, che non vuole rinunciare alla sua libertà abdica, ma Lord Magnus provoca Antonio e appena fuori dai confini della Svezia in duello lo uccide

Il film

Il film è del 1933 ed è interamente costruito sulla figura di Greta Garbo, all’epoca del suo massimo splendore. La Divina è sofferta, ambigua, appassionata e regale, come la rappresentazione della misteriosa sovrana richiede.

Quando nel 1933 Greta Garbo si reca in Svezia a trovare la madre e il fratello porta con sé nella valigia una biografia della regina Cristina prestatale dalla sua amica sceneggiatrice Salka Viertel.

Greta Garbo rimane affascinata da questa biografia perché sente di avere molte affinità con l’eccentrica ed anticonformista sovrana svedese del 1600 che detestava il matrimonio, non amava gli abiti eleganti e sontuosi a cui preferiva i più comodi abiti maschili ed era bisessuale.

In Svezia raccoglie documenti e notizie su Cristina, visita il castello di Upsala e si entusiasma all’idea di fare un film su di lei per cui scrive alla Metro dicendo che è disposta a rinnovare il contratto a condizione che faccia un film sulla regina Cristina  e che lei ne sia la protagonista. La Metro è costretta ad accettare perché la Garbo è molto apprezzata ed è un richiamo soprattutto per l’Europa. La regia è affidata a Rouben Mamoulian, regista di origini cosacche che ha studiato a Mosca e Parigi e la sceneggiatura è di Salka Viertel che vi inserisce monologhi e dialoghi presi direttamente dalla vita quotidiana.

Il ritratto che della regina fece la Garbo è androgino, principalmente per i suoi movimenti, la voce e il comportamento

La sequenza di apertura del film stabilisce già quale sarà il destino di Cristina: nella scena dell’incoronazione si comporta come un ragazzo, senza commozione apparente e con fermezza.

Nella prima parte del film si punta sull’aspetto mascolino della personalità di Cristina.

La Garbo mantiene la gestualità di un uomo e il regista nell’inquadrare il volto coglie le minime sfumature dell’espressione degli occhi, la fissità dello sguardo e le emozioni.

Il desiderio malinconico di Cristina di sfuggire al suo destino, che le impone il matrimonio per necessità dinastiche, e i suoi continui rifiuti dei pretendenti vengono interrotti nella prima metà del film dall’incontro con la contessa Ebba Sparre.

La breve scena in cui sono insieme è carica di sensualità e di vero affetto, ed è la sola manifestazione di questo tipo nel film, fra la Garbo e un’altra donna.

Il punto di svolta nella metamorfosi di Cristina sta nella scena della locanda quando, scambiata per un uomo, è invitata a dormire con Antonio l’ambasciatore spagnolo: decide di mantenere l’equivoco e inizialmente fa mostra di movimenti mascolini, Antonio non si accorge ancora che è una donna, ma sono già dei movimenti caricaturali…. Se ne accorgerà solo quando, rimasta in pantalone e camicia, assumerà  una  gentilezza dell’espressione e una posa seducente.

Questo è il vero momento di passaggio del film: da qui in poi Cristina diventa molto femminile ai nostri occhi grazie alla postura del suo corpo e ai gesti. Dopo l’amore toccherà tutti gli oggetti della stanza per appropriarsi di quei momenti trascorsi come una donna normale e non come regina.

Il regista tenta di trasformare Cristina in un personaggio stereotipato (come la Metro impone) e l’abdicazione della regina viene giustificata con un amore eterosessuale, fatto che nella realtà storica non esiste.

Greta Garbo, però, continua a tratteggiare il suo personaggio in modo che rimanga forte e volitivo.

Quando incontra Antonio a corte, si svela la sua identità, ma Cristina non fa niente per tenere nascosta la sua relazione e continuerà a rifiutarsi di sposare il cugino.

Affronta da sola e nel suo castello il popolo infuriato, sobillato da un amante geloso contro lo spagnolo.

E quando deciderà di abdicare lo farà incurante delle suppliche dei suoi dignitari e del popolo.

E’ severa, altera anche quando il suo sogno d’amore sarà infranto per la morte di Antonio e continuerà il suo viaggio verso la Spagna.

Bellissima l’ultima scena: uno zoom sul volto della Garbo.

Fenomeni come l’incontro tra il filtro misterioso della Garbo e la testarda mascolinità di Cristina accadono di rado e dicono qualcosa in più di quello che sta scritto nella sceneggiatura. Tutti gli elementi sono presenti nella sceneggiatura, ma l’ambiguità era un aspetto proprio dell’attrice: i movimenti bruschi, i gesti delle mani, la voce e la risata, di difficilissima imitazione , dice Tina Lattanzi, la sua doppiatrice italiana

 

 

Il regista Rouben Mamoulian  (1897 -1987)

Nato nel Caucaso, educato a Mosca e Parigi, naturalizzato negli Stati Uniti.

Iniziò la sua attività di regista di commedie teatrali a Londra, trasferitosi negli Stati Uniti, lavorò come regista teatrale e di opere liriche. Fu il primo regista di famosi musical a Broadway.

Il suo primo film “Applause” è del 1929 e fu anche uno dei primissimi film parlati dopo l’era del cinema muto; nel film utilizzò la camera in maniera innovativa sia per i movimenti che per il suono e le nuove tecniche di ripresa furono utilizzate in uno dei suoi film più celebri “Il dottor Jekiiiyll” (1931) e nel film musicol “Amami stanotte” del 1932 , “La regina Cristina” del 1933, “Resurrezione”, “Il segno di Zorro”, (1940) “Sangue e arena” (1941),”Sangue e arena fu girato in technicolor utilizzando gli schemi di colore basati sui  pittori Velàzquez e El Greco.

Nel 1963 girò “Cleopatra”

Morì  nel 1987 all’età di 90 anni in California

 19 novembre 2014

 
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